Sette laureati super preparati: sono loro i protagonisti sgangherati del film di Sidney Sibilia, Smetto quando voglio: meglio ricercati che ricercatori. Per il giovane e promettente regista si tratta del primo lungometraggio, in uscita il 6 febbraio, è una commedia con retrogusto anglosassone ma dal tema tutto italiano.
A metà strada fra Ocean’s Eleven e I soliti ignoti di Monicelli, con un tocco alla Tarantino, il film narra la vicenda di un gruppo di dottori, le migliori menti, costretti per sbarcare il lunario, ad accontentarsi di lavori che nulla hanno a che vedere con i loro studi. Ma ben presto le cose cambiano e nel modo più insolito possibile, perché i nerd in questione, per cambiare la propria vita, decidono di darsi allo spaccio di droga.
Sibilia mette in scena una variegata combriccola di personaggi geniali dotati di una cultura elevata come l’antropologo Andrea (Pietro Sermonti) che per disperazione tenta di farsi assumere come sfasciacarrozze, snocciolando uno slang da bassofondo per poi tradirsi con una “frase da laureato”. Mattia e Giorgio (Valerio Aprea e Lorenzo Lavia) che da Semiotica interpretativa ed Epigrafia Latina passano alla gestione di una stazione di benzina aperta la notte, poi c’è Bartolomeo con una laurea in macroeconomia che per tirare a campare si dedica alla infruttuosa, anche se matematicamente possibile, conta della carte a poker.
Mentre alle prese con i cantieri metropolitani, fra lapidi dell’antica Roma c’è l’archeologo Arturo, sottopagato, talmente al verde, che non può permettersi neanche un pranzo al sacco. Infine i più preparati in fatto di sostanze stupefacenti: il pacioso chimico computazionale Alberto (un estroso Stefano Fresi) lavapiatti di un ristorante orientale, sistematicamente strigliato dal suo principale cinese e Pietro ( Edoardo Leo), ovvero il fautore del “progetto”.
Il neurobiologo Pietro, genio nella sua materia, ricercatore che a causa di tagli all’Università vede infrangere il suo sogno, chiama a raccolta i suoi non meno sfortunati amici, per formare una banda criminale specializzata nello spaccio di una nuovissima smart drug di loro creazione, manco a dirlo legale poiché non catalogata dal Ministero della Salute. Un’idea che cambierà la vita dei protagonisti con montagne di denaro e con risvolti che, data la loro formazione più culturale che delinquenziale, non sono difficili da immaginare.
Un tema tutto italiano, dove i personaggi decidono di riprendersi le loro vite, poiché la società – se non hai i giusti “agganci” – non riconosce il tuo valore e ti fa passare per “sfigato”. Fra citazioni in latino, formule chimiche di sostanze psicotrope e rapine in farmacia con armi e baionette napoleoniche trafugate dagli archivi di Arturo, Sibilia va oltre l’abusata accusa della condizione dei laureati e dei giovani ricercatori in Italia puntando, proprio per la sua stravagante e provocatoria soluzione, su un registro assurdo, dove non c’è assoluzione.
Fra farsesco e grottesco, il regista approda a una commedia di puro intrattenimento, mai banale, che pullula di conversazioni al telefonino, pagine internet, tonalità cromatiche sature e verdastre alla Instagram, simboli della nostra decadente contemporaneità.
Buona l’interpretazione degli attori che risultano affiatati, fra cui da ricordare, nel ruolo del vero “cattivo” il Murena, Neri Marcorè. Un film dal ritmo sostenuto e convincente, dialoghi surreali esilaranti, situazioni comiche efficaci, anche laddove sono presenti citazioni esplicite alla Verdone di Acqua e sapone nel personaggio di Pietro, alle prese con i suoi svogliati allievi del doposcuola.