È l’unico critico gastronomico di cui nessuno conosce il volto: Valerio Massimo Visintin, irriducibile firma del Corriere della Sera.
Dalle pagine del quotidiano di via Solferino assolve o boccia ristoranti e locali milanesi, mantenendo un aplomb ineccepibile e una coerenza encomiabile.
Milano Weekend l’ha intervistato (naturalmente tutto in incognito e rigorosamente via mail), in occasione dell’uscita di Pappamilano 2014, la guida edita da Terre di Mezzo che raggruppa 100 ristoranti di qualità a buon prezzo.
In attesa di vederlo dal vivo a Bookcity 2013 domenica 24 novembre (alle 11 sarà all’ex Fornace di via Gola per l’incontro ‘Dalle locande milanesi allo street food, conversazione su cibo di strada e dintorni‘), leggete quel che pensa della ristorazione a Milano.
R. È vero ma non più che in passato. La cucina nostrana non è mai stata epicentro della ristorazione milanese. Le ragioni di questa apparente scollatura dalle proprie origini, Milano le coltiva alla radice di se stessa: è da sempre città di conquista, di passaggio, di commercio, di scambio, di approdo.
Non a caso, le voci della nostra tradizione sono un gruzzoletto piuttosto esiguo e con una forte connotazione stagionale. Piatti opulenti, gravidi di calorie, come il risotto allo zafferano, la cassoeula, la cotoletta. D’altra parte, in una città come questa, vocata ad accudire ogni genere di moda – non escluse quelle più sceme ed effimere – è coerente che la tradizione gastronomica più verace sia un tema in rapido transito.
D. Qual è il livello generale dell’offerta culinaria di Milano?
R. La notizia cattiva è che la ristorazione milanese è gravemente ammalata. Catene di insegne all’arrembaggio, imprenditori improvvisati, quattrini da ripulire con urgenza, connivenze stucchevoli tra critica e chef, mancanza di idee, format replicati col copiaincolla. Mi fermo qui per non tediarvi, perché l’elencazione dei sintomi è infinita.
La notizia positiva è che, in questo ribollire di insegne nuove, per mero calcolo percentualistico spunta fuori anche qualcosa di buono.
R. L’ultima mania è quella legata al cosiddetto street food, in tutte le salse. Va da sé che a Milano, per un fatto climatico oltre che caratteriale, nessuno mangia mai niente per strada. Ma, sotto questo slogan, si sono compattate due esigenze: la prima è di matrice promozionale. Perché, lo abbiamo detto, la mia città si aggrappa alle mode come i gatti alle tende. La seconda è più prosaica: si trattava di ridurre le spese d’esercizio e offrire al cliente un’alternativa più economica e svelta alla classica cena al ristorante. Il risultato è che abbiamo un esercito di hamburgerie, di polpetterie, di bocconi vari da mangiare al volo.
D. E cosa invece le piace dei ristoranti di Milano?
R. Mi danno da vivere. E, detto fra noi, gli voglio bene. Un po’ come a un vecchio amico frastornato e pieno di difetti insopportabili. Ai quali, però, ci si affeziona.